Abstract (in italiano)
Il quesito referendario sull’eutanasia legale è stato dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 50 del 2022. Il presente scritto intende riscostruire, in chiave critica, il percorso argomentativo condotto dalla Consulta. Per fare questo, è necessario anzitutto interrogarsi sulla portata del principio di disponibilità della vita umana, il quale pare farsi lentamente strada nel nostro ordinamento, in perfetta armonia con la tutela costituzionale dei diritti e delle libertà fondamentali, a partire dall’affermazione del principio personalista. Dignità umana, libertà personale e tutela della salute fungono da principi cardine in un tema delicato quale la legalizzazione dell’eutanasia. Ciò premesso, lo scritto analizza il quesito referendario sull’eutanasia legale, ritenendo che vi sia una manipolatività necessariamente ammissibile che attiene all’utilizzo di una tecnica, quella abrogativa, che si basa imprescindibilmente sull’eliminazione del dato normativo, talvolta producendo effetti più ampi rispetto a quanto dichiarato nell’oggetto, ma non per questo al punto da condurre ad una anticipazione del controllo di legittimità costituzionale della normativa di risulta. Da questo punto di vista, la sentenza n. 50 del 2022 della Corte costituzionale sembra, invece, anticipare il vaglio sulla normativa di risulta, interpretando in senso troppo ampio la precedente giurisprudenza sul limite delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato in tema di referendum abrogativo. Infine, il presente contributo intende offrire qualche spunto di riflessione sulla necessità di rivitalizzare l’istituto in parola e prendere atto che il Parlamento, nella materia del fine vita, è rimasto inerte anche a fronte dei moniti della Consulta e forse, a maggior ragione, la leva referendaria avrebbe potuto aprire la strada ad una seria discussione parlamentare basata sull’espressione della volontà popolare.